martedì 25 gennaio 2011

un caffè

Quella volta a Monterey faceva freddo e per strada non c'era nessuno.
Tanti omini grattavano il ghiaccio dal parabrezza delle loro auto non abituate al gelo e lo spettacolo era accattivante. La maggioranza usava custodie di musicassette, qualcuno le unghie delle mani, pochissimi quelle dei piedi.
Passeggiavo, quella volta a Monterey, alla ricerca di un bar che servisse un espresso come si deve.
Mi ritrovai davanti all'insegna del "Caffè di Don Raffaè" ed entrai insieme al sorriso che mi si era spalancato sulla faccia:
"Buongiolno" disse l'omino cinese dall'altra parte del bancone in formica e acciaio.
Le parole mi si smarrirono nella gola.
"Plego signole" continuò il tale senza smettere di sgranocchiare patatine moscie e vistosamente scadute.
Diedi una lunga curiosata a trecentossessanta gradi, mentre il rumore dei denti cinesi sulle patatine moscie mi suggeriva di ritornare sui miei passi.
Ordinai un caffè n°5 e mi sedetti ad un tavolino che dava sulla strada.
Il locale era caldo, ma avevo i piedi gelati, quella volta, a Monterey.
"Oggi fleddo" sentenziò il balista .
Lo disse seriamente, mentre appoggiava la mia ordinazione sul tavolino.
"Si, decisamente freddo" risposi togliendomi il cappellino da baseball che faceva le veci delle pesanti berrette di lana, introvabili, in quella zona del mondo.
"Tu vole patatina?" chiese allungando il pacco trasparente sotto il mio naso.
"No, grazie, ho smesso"
Bevvi il caffè (troppo tiepido per i miei gusti) tutto d'un fiato, pagai e salutai.
Ritornai sulla strada, in mezzo ai grattatori, con le mani in tasca e il berretto ben calcato sulle orecchie. E mentre la lingua che passava sui denti per assorbire l'aroma del caffè, trovava un frammento di patatina cinese, sorrisi.

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